Per chi, come me, segue il calcio per forza – se ne parla ovunque e ne parla chiunque, quasi sempre a sproposito, ieri sera è stata una liberazione. Dopo sessantaquattro partite e un mese di moviole, discussioni, analisi socio-calcistiche, fatti e misfatti, forse per due o tre giorni non si parlerà di calcio. Che cosa rimane?
Rimane che l’Italia è uscita quasi subito, in modo abbastanza vergognoso con il solito strascico di polemiche – che palle. Per una volta, dico una, che qualcuno che riveste una qualche carica, si prende le sue responsabilità e toglie con classe il disturbo (beh, l’unico neo è stata la velocità con cui Prandelli ha firmato per il Galatasaray, praticamente sul volo di ritorno dal Brasile), viene definito un traditore, un giuda, addirittura uno “Schettino”, massimo insulto di questi tempi. Si vede che non siamo abituati a vedere la gente che si dimette dopo che ha fallito l’obiettivo. Poi che ci siamo scoperti paese razzista perché abbiamo dato contro Balotelli, anche se, fermo restando che razzisti lo siamo, le critiche a Balo gliele avrebbero mosse comunque, anche se aveva la pelle di colore verde, visto che essere sopraffina testa di minchia prescinde dall’appartenenza a qualsiasi razza.
Sul fronte del folklore calcistico, rimane la bella figura di merda di tale Mario Ferri detto Falco, di professione “invasore di campo”. Questo tizio si è finto invalido per avere accesso alla parte riservata ai disabili e poi alzarsi, come miracolato, per girare in campo. Immortalato dall’onnipresente telecamera, ci ha fatto fare una figura molto peggiore di quella della Nazionale.
Anche chi non segue il calcio avrà sentito vagamente che il Brasile, paese ospitante e depositario del sapere pallonaio mondiale, ha preso sette würstel (quelli grossi) in quel posto da una Germania granitica, alla semifinale che li doveva far andare in finale e consacrare eroi.
La cosa che ha fatto più notizia non è stata la vittoria dei Panzer ma la sconfitta della Seleçao. E che palle! Su internet, sui giornali, ai tiggì, diluvi di foto e video che mostrano le gnocche di Ipanema in lacrime, i bambinetti col moccio colante disperati, i tifosi depressi che lanciano televisori dalle finestre e via con tutto il corollario delle scene da isteria collettiva. Eccessiva e irritante, per quanto possa essere importante una partita, perché il Brasile ha altre gatte da pelare, non mi risulta che sia un Paese che funziona come un orologio.
Invece la Germania: ieri ha vinto, la squadra ha festeggiato, anche se dalla faccia di Klose sembrava che avesse perso, baci e abbracci. A Berlino gran folla ad esultare, e oggi che è lunedì, si ritorna alla vita normale. Come deve essere. Il calcio è un gioco, non dimentichiamocelo.
P.S. E la Germania, come Paese, funziona benino.
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