19 ottobre – Boston (o Baaast’n) è la culla della democrazia americana, qui sono iniziati tumulti che hanno portato i coloni a ribellarsi alla madrepatria e a fondare il nucleo degli Stati Uniti. Da bravi turisti, percorriamo il Freedom Trail, una traccia di mattoncini rossi che attraversa tutta la città e tocca i luoghi-simbolo della Rivoluzione Americana. Si respira puritanesimo a pieni polmoni, i fantasmi di Hester Prynne e la sua lettera scarlatta, di Dimmesdale e della piccola Pearl mi inseguono per le vie attorno al Boston Common, il giardino pubblico. Attraversare la città a piedi seguendo il Trail è come sfogliare un libro di storia: quattro chilometri ad andare e quattro a tornare, passando per il quartiere di North End, la Little Italy di Boston. Sulla porta dei bancomat c’è scritto “Ciao”, i negozi di alimentari – sì, ci sono ancora e assomigliano in tutto e per tutto a quello dei miei genitori – vendono i biscotti Plasmon e l’acqua San Pellegrino, i laboratori di pasta fresca non si contano. I ristoranti italiani (o sedicenti tali) sono a ogni angolo ed è proprio impossibile ignorarli.

Camminando in direzione di Charlestown, l’ex cantiere navale, vediamo un’auto che porta sul muso un enorme e vistoso paio di baffi di peluche rosa. Lì per lì abbiamo pensato che fosse un segno per festeggiare un matrimonio gay, un po’ il corrispondente dei fiocchetti bianchi che si mettono alle antenne delle auto, ma non avendo nessuno a portata di mano per chiedere delucidazioni, io e G. siamo rimasti col dubbio per tutto il giorno. In serata, nel centro cittadino, ne abbiamo viste ancora altre, di auto rosabaffute: è pur vero che il Massachussetts è stato il primo Stato a legalizzare questo tipo di unioni, ma così tante tutte nello stesso giorno! Viene in aiuto la rete (santa Internet!) e facendo una googlata con “pink moustache” esce che… eravamo completamente fuori strada. La strada però c’entra perché i baffoni rosa individuano le auto private che offrono un servizio di taxi. In breve: i proprietari di auto che vogliono caricare altre persone lungo il loro tragitto, espongono questi enormi baffoni rosa (“carstache“) per essere identificati. Con l’app-osita app (calembour da vergognarsi, lo so, ma non so resistere) il cliente localizza l’auto più vicina, si mette in contatto con il conducente, si fa portare a destinazione e paga, sempre via app. Di questi servizi ce ne sono anche altri, tipo Uber oppure Sidecar che sono professionali e più costosi; in Italia una cosa simile è BlaBlaCar, ma per le lunghe distanze: i “baffoni rosa” sono più orientati alle zone urbane, alla socializzazione per i clienti e alla riduzione delle spese per i conducenti, che non al profitto. A vedere le persone sorridenti e chiacchierone dentro le auto baffute, sembrava che si stessero divertendo parecchio. La comunità virtuale si trasforma in contatto reale.

Dopo i chilometri macinati su e giù per il Freedom Trail, la sera ci meritiamo una cena robusta presso il pub vicino all’albergo, che promette “tons of lobsters“. Promette e mantiene, a giudicare dalle dimensioni.

Stasera c’è anche la partita di baseball tra gli eroi locali, i Boston Red Sox, i leggendari Calzini Rossi, e i Detroit Tigers. Il pub è impaccato di gente – bella gente – gruppi di amici, famiglie, coppie che si appassionano al passatempo preferito degli americani, secondo la definizione più usuale. È una sensazione piacevole, essere coinvolti in questa festa e partecipare alla partita, anche se non capisco un’acca di come si svolge il gioco. Facendo un paragone pallonaro, sarebbe come se stessi assistendo al Bar Sport a Italia-Germania. Dato che non capisco niente nemmeno di calcio, il mio tifo si basa, in entrambi i casi, esclusivamente su canoni estetici e pertanto tifo per i più carini.
Dato che nessun bostoniano leggerà mai questo blog, posso affermare con cognizione di causa che i più “bravi” sono i Detroit Tigers.
[fine settima parte]
Davvero complimenti per il tuo preciso e ben documentato reportage. E’ un piacere averti incontrato e leggerti.
Nicola
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ah, beh!!! ora si che capisco: vi ha conquistato l’aragosta! Invidia della belva di casa? magari non gliel’avete neanche fatta vedere in foto!
L’avventura continua? mi ci sto appassionando a questa passeggiata nell’Ammmerika! 😉
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Penso che solo all’estero qualcuno ancora si propone come italiano, anche se non lo è. Anche a Londra ho trovato finti italiani, ovviamente se ne trovano (anche di peggiori) in Germania. In Italia, dopo sessant’anni passati a cercare di diventare americani, cercando però di entrare (chissà perché) nella Comunità Europea, non si sa bene come si sia diventati. Italiani forse no, ma si trovano ogni tanto pugliesi, napoletani, siciliani, toschani, sardi e qualche piemontese. In Catalogna stanno sforzandosi di non essere più spagnoli, nel Regno Unito gli scozzesi dichiarano di non essere certamente inglesi, in Belgio i fiamminghi e i valloni non sanno più bene in che paese vivono. In Yugoslavia sappiamo come è finita, la Cecoslovacchia ha divorziato senza clamore. Insomma, che sta succedendo all’Europa? Solo gli Statunitensi si sentono Amerikani, a quanto pare.
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🙂
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