La lotta per l’indipendenSa padana non si ferma. Dopo le vicissitudini relative alla nuova denominazione della scuola elementare (già “Guido Guinizzelli” e attualmente intitolata all’eroe scozzese che combatté contro il giogo romano), un genitore molto attento all’istruzione della gagliarda prole veneta si lamenta presso il Direttore della testata locale del sistema numerico in uso presso la scuola media che il figlio Chevin frequenta.
(il brano che segue è tratto dal sito http://www.thetop.it)
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Stimato Direttore,
mi duole annoiare Lei e i Suoi lettori segnalandoLe l’ennesimo subdolo tentativo di indebolire la nostra identità veneta. Mio figlio Chevin frequenta la classe III assieme a Giasmine e Abdul, due figli di nordafricani, presso la scuola elementare ‘Eroi del campanile di S. Marco’, nel piccolo comune della provincia di XXX dove abitiamo.
L’altro giorno la maestra – mi dicono di Caserta – durante la lezione di matematica ha detto testualmente: “Bambini, lo sapevate che i numeri che usiamo per contare sono stati inventati dagli antenati di Abdul e Giasmine?”. Come se non bastasse ha aggiunto: “Pensate quanta fatica fare i conti prima di questa invenzione!”.
Quando Chevin mi ha raccontato cosa è successo in classe non ci ho più visto. Ma come, io lavoro dalla mattina alla sera per pagare le tasse a Roma che servono a far studiare anche i figli dei marocchini e questa sconsiderata – al bar non l’avrei detta così, ma mi trattengo: siamo tra persone civili – va a dire ai nostri figli che i mussulmani sono più avanti di noi!
Mi chiedo perché la Scuola Veneta permette a questi cosiddetti insegnanti di continuare a insegnare questa matematica araba, come se i numeri che ci hanno insegnato quando eravamo a scuola noi non bastassero più.
Chiedo, anzi pretendo, che l’Assessore Regionale all’Identità Veneta – che abbiamo messo lì con i nostri voti, non se lo dimentichi! – intervenga per abolire l’insegnamento di numeri arabi nella Scuola Veneta e per ripristinare l’insegnamento della matematica di una volta. E già che c’è ci faccia anche il piacere di stare più attento a dove sono nati i maestri dei nostri figli.
La saluto distintamente.
Poaréta! Costretta a sceglie tra numeri arabi e romani!!!
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A questa signora risponderei con una citazione:
Massimo Montanari parla di “leghismo gastronomico”, che vede “nella ‘tradizione’ e nelle ‘radici’ (tutti termini difficili, pericolosi, che andrebbero smontati nel loro vero significato culturale) lo strumento di difesa di sé dall’altro, anziché di incontro con l’altro…”.
La cucina, così come l’identità culturale, è una realtà in costante movimento, si nutre continuamente di nuovi apporti e ne abbandona altri nel cammino, evolve continuamente: ogni piatto è un mirabile esempio di meticciato culturale stratificato nei secoli.
Parafrasando un famoso testo con cui Ralph Linton proponeva ai suoi studenti la prima lezione di antropologia culturale, potremmo immaginare una storiella di questo tipo: un qualsiasi abitante di una qualsiasi città del nord Italia si alza la mattina e si siede a tavola per la colazione; beve una tazza di caffè, originario della penisola arabica, o una tazza di tè, bevanda indiana, addolcite con un cucchiaio di zucchero, raffinato per la prima volta in India. Mangia una fetta di pane, importato nell’Italia pre-latina dai Greci, con una marmellata di albicocche (di origini cinesi). Se si comporta da salutista, prende anche uno yogurth, il vitto dei poveri in Turchia, e una spremuta di arancia, frutto proveniente dall’Oriente tramite gli arabi.
A pranzo si mangia un bel piatto di risotto alla milanese: sia il riso che lo zafferano arrivano dall’Oriente. Di secondo una cotoletta alla milanese, cotta con una tecnica, l’impanatura e la frittura, comune atutte le culture; la guarnisce con patate arrosto, giunte dall’America, ospinaci, originari del Nepal.
A cena ovviamente polenta (il mais arriva sempre dall’America), magari con il tacchino ripieno alla milanese (altro animale americano) o la mitica Cassoeula (il maiale venne addomesticato per la prima volta in Cina, circa diecimila anni fa).
Prima di andare a letto si beve un grappino (i distillati giunsero in Europa tramite i farmacisti arabi) e, pensando con orrore a quanto gli immigrati possano inquinare la sua cultura, “ringrazia una divinità ebraica” di averlo fatto al cento per cento padano.
(Andrea Perrin, La fame aguzza l’ingegno, Elèuthera ed.)
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