Vita da coprywater • home edition

L’attività del coprywater (definizione non mia ma di Francesco Margherita che spiega cosa fa un coprywater qui), come quella del traduttore, con la quale ha diversi punti in comune, potrebbe essere svolta sia sul cocuzzolo del monte Corno che in un ufficio, come a bordo di un treno o nella sala d’aspetto del dentista. Bastano un computer portatile e una connessione stabile e il coprywater è operativo. Entrambe le attività, copy writing e traduzione, non hanno risentito troppo del cataclisma organizzativo aziendale prodotto dal Covid. Per quanto mi riguarda, lavorare a casa era la norma, mentre andare in ufficio una rara eccezione.

Non ci sono più gli a.C. e i d.C. di una volta

Fino a marzo 2020 le aziende immaginavano il lavoratore da casa buttato sul divano, vestito in modo sommario, cioè tuta e felpona, con una cura minima della persona – occhi cisposi e barba lunga per gli uomini, vistosa ricrescita e capigliatura selvaggia per le donne – a grattarsi la panza per otto ore, oppure seduto alla scrivania a compulsare Porn Hub.
Poi è arrivato il Covid è niente è rimasto come prima in ogni ambito, a maggior ragione in quello lavorativo, tanto che ormai a.C. significa “avanti Covid” e d.C. “durante/dopo il Covid”. Uno dei pochi vantaggi del virus maledetto è che ha sdoganato lo smart working, e qui apro una parentesi lessicale.
Mi piacerebbe tanto sapere chi inventa locuzioni e neologismi orrendi che entrano nell’uso comune, tipo badante, apericena, cratere sismico e per l’appunto, smart working. A parte l’inutile esterofilia, smart è il contrario di dumb, rendendo implicito che lavorare in ufficio è da tonti mentre farlo da casa è da fighi. A me piace chiamarlo lavoro da remoto, che porta con sé l’idea che più stai lontano dall’ufficio, meglio è. Chiusa parentesi lessicale.

Senza un attimo di respiro

Faccio la coprywater da casa due giorni la settimana, durante i quali i ritmi sono serratissimi. Non che in ufficio i ritmi siano blandi, anzi, ma tra le mura domestiche la produttività aumenta in maniera esponenziale. Non ci sono distrazioni, non ci sono pause caffé, non ci sono variabili Alfa che interrompono la concentrazione e inducono inutile stress negativo. Ci sono gli ispettori del lavoro, è vero, che controllano se è tutto in ordine, ma sono facilmente corruttibili con una crocchetta o con una coccola dietro le orecchie.

Ispettore del lavoro o sicofante aziendale?

Oltre ad annullare i tempi di trasferimento casa-ufficio, il lavoro da remoto permette di usufruire di tutti i comfort di casa: un ambiente accogliente, comodo e user-friendly e soprattutto il servizio di refezione. In ufficio il coprywater soffre della sindrome di malnutrizione da tastiera, un diffuso disturbo dell’alimentazione causato dalla mancanza di attrezzature minime per la sopravvivenza: un frigo, un microonde, una dispensa. Non potendo consumare pasti calibrati e sani in luoghi specificatamente dedicati, il coprywater sbocconcella tristemente il suo panino alla propria postazione, cosa peraltro sconsigliata da ogni psicologo del lavoro (e dal buon senso). Inoltre, per una perversa legge gravitazionale, le briciole del panino cadono sempre sotto i tasti delle lettere più comuni, tipo le vocali di cui la nostra bella lingua abbonda e mai sotto la X, la W o la Y. Il risultato è che la tastiera si intoppa con una immonda mappazza untuosa e va sgrullata con regolarità per evitare il famoso “blocco dello scrittore”. Tanta precarietà alimentare fa passare, almeno alla sottoscritta, la voglia di mangiare. Va spesso a finire che mi accontento di un frutto ma poi all’ora del tè mi mangerei una porchetta intera, recchie del porco comprese.

Dio ti vede, Asana anche, Stalin no

Con la condivisione dei file su Drive, con i software di Project Management, con i sistemi di messaggistica, con Google chat e simili, lavorare da casa alla fine è come stare in ufficio. Ho già detto in altra sede che per comunicare da una scrivania da un’altra usiamo la chat, quindi che differenza fa se il mio collega ce l’ho a portata di gomito o a 10 km di distanza? Tutti questi strumenti hanno anche lo scopo di renderti rintracciabile e visibile. Parafrasando il manifesto elettorale di Guareschi del 1948, Nel segreto del tuo studio, Dio ti vede, Asana anche, la PM pure. L’unico che non ti vede più è Stalin che da un bel po’ “sburta radicio” (per la traduzione vedi qui) e poi di te poco gliene fregherebbe.

Le riunioni si tengono su Meet, e dato che non è stato ancora inventato Google Smell, il meeting olfattivo, mi posso collegare con i colleghi senza bisogno di fare la doccia al rientro dalla palestra prima di iniziare la giornata lavorativa, e questo è un bene. Soprattutto per loro.
L’importante è essere vestiti in modo decente in su e comunque non alzarsi dalla scrivania se si è in deshabillè dalla cintola in giù. Buona norma è anche usare uno sfondo sobrio – no Minions fluttuanti nell’aria, no navicelle spaziali in stile Odissea nello spazio, no mari tropicali – per nascondere il bordello immondo che è casa tua, con montagne di vestiti da stirare in background o peggio.

Kit di sopravvivenza per lavoratori remoti

Dopo anni di lavoro come traduttrice e dopo qualche mese da coprywater, mi sono permessa di stilare un breve elenco di consigli per sfruttare al meglio il lavoro da remoto.

  • mai aprire la posta prima dell’inizio della giornata lavorativa o peggio, dopo l’orario di lavoro. Il rischio è di continuare a lavorare senza soluzione di continuità. A casa come in ufficio i paletti temporali vanno rispettati;
  • la messaggistica aziendale dovrebbe essere uno strumento di consultazione rapida con i colleghi: se scrivi più di tre righe, significa che faresti prima a parlare col tuo interlocutore, quindi alza quel c4$$0 di telefono e abbi un contatto diretto;
  • in teleconferenza presentarsi vestiti in modo decente e COMPLETO. Come già detto, la possibilità che ci si alzi dalla sedia c’è e quindi evitiamo di farci sorprendere in mutande;
  • se le rotture di cabasisi ti raggiungono a che a casa, imposta lo stato OCCUPATO (il pallino arancione) su Google Workspace. Oltre a conferirti un tono di persona occupata, quale poi alla fine sei, ti regalerà un lasso di tempo in cui potrai concentrarti al 100%;
  • quando finisce l’orario di lavoro, SPARIRE DAI RADAR. Il coprywater non è un lavoro che salva le vite umane. Qualsiasi cosa accada, può aspettare fino al giorno dopo.

Una risposta a "Vita da coprywater • home edition"

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  1. Leggo in rete che Coprywater è ormai di uso comune! Però che tristezza: mai lavoro fu più vilipeso dai suoi stessi adepti! Eppure è un’attività affascinante, che potrebbe anche trasformarsi in plagio o dittatura delle idee…siete dei mostri, ma buoni, quelli sotto il letto di Calvin, per esempio!

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