Racconto di Natale

Qualche anno fa avevo scritto questo racconto per partecipare a uno dei tanti concorsetti del piffero a tema natalizio che girano in rete. L’idea mi era nata vedendo quegli orrendi – sì, sono orrendi – fantocci a grandezza naturale di Babbo Natale che si arrampicano su per i terrazzi delle case. L’addobbo più idiota della storia della decorazione natalizia. Poi però il file è rimasto impigliato nella cartella “Raccontini” del Mac e non l’ho più spedito. Visto che il periodo è quello giusto, l’ho rispolverato e lo propongo, nella speranza che sia melenso quanto basta per la ricorrenza.

Buon Natale.

Snoopy romanziere natalizio (da internet)
Snoopy romanziere natalizio (da internet)

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Ogni volta che i fari di un’auto lo illuminavano, Vasilij se ne stava immobile appeso alla ringhiera della villetta. Per qualche istante si bloccava e assumeva la posa plastica del Babbo Natale rampicante, la decorazione natalizia più stupida che mente umana potesse pensare, finché il bagliore allo xenon si allontanava e il buio lo riavvolgeva nella sua complice coperta. Poi, poteva continuare a “lavorare”.

Ecco come si era ridotto Vasilij Desinovic, – ormai ex – stella indiscussa del trapezio, l’attrazione più corteggiata dai circhi di mezza Europa. Costretto a vestirsi come un pirla con un costume da due lire e a servirsi di quello squallido stratagemma per sfuggire ai vigilantes e ai pochi passanti che incontrava durante le sue “visite” alle villette a schiera delle periferie di ogni parte d’Italia, tutte belle rassicuranti nei loro colori rosa-salmone o azzurro-cielo, piene di contanti e gioielli nascosti nei fustini finti di detersivo o in fondo ai cassetti della biancheria profumati alla lavanda.

Non era un delinquente, Vasilij Desinovic, era diventato ladro senza quasi accorgersene. E senza che gliene importasse granché.

Ad un certo punto della sua vita, quella perfetta e millimetrica sincronia che gli regolava i lanci dal trapezio e la quotidianità, i salti mortali tripli e il ménage familiare, gli avvitamenti nell’aria e l’amore dei suoi cari, erano andati fuori fase e lui aveva perso la presa. In senso letterale e figurato. Sulla moglie, sul figlio, sulla vita, sulla barra del trapezio. Su tutto. Irina, sua partner anche a venti metri d’altezza, gli metteva le corna col Pierrot triste e malinconico del circo, uno che non si capiva se a fine serata si era tolto il trucco o meno, tanto aveva comunque quella faccia da condannato a morte e la lacrima facile, un omuncolo che aveva paura della sua stessa ombra. Essere fatto becco da un pagliaccio con la faccia infarinata fu un colpo duro, ma quello che mandò al tappeto Vasilij fu l’assenza del piccolo Yuri che Irina si portò via. Del bambino, Vasilij conservava qualche foto e una trottola di legno, il giocattolo che la madre, nella fretta di fare le valigie, aveva dimenticato nella loro roulotte. Se lo teneva sempre in tasca, quel pezzo di legno tornito e colorato, come una specie di amuleto. Rimasto solo come un cane, Vasilij cominciò a cercare un rimedio alla sua solitudine in fondo ad una bottiglia di qualsiasi cosa liquida sopra i quarantacinque gradi alcolometrici. Quando si presentò per l’ennesima volta ubriaco fradicio allo spettacolo del pomeriggio, il direttore del circo gli fece trovare davanti alla roulotte una valigia scassata con  dentro i suoi costumi, il compenso degli ultimi tre spettacoli e l’invito a non farsi più vedere.

Dopodiché, non si ricordava come, era finito a fare il topo di appartamento per Tony Gualdrappa, un malavitoso da quattro soldi che lo aveva assoldato solo per le sue indubbie doti acrobatiche e funamboliche, che Vasilij metteva a frutto con successo, negli intervalli tra una sbronza e un’altra. Da angelo a demonio nel giro di qualche mese.

Bene, ci siamo, pensò, dopo che anche l’ultima auto lo aveva illuminato e scambiato per un pupazzo a grandezza naturale. Aveva raggiunto la finestra a vasistas dell’ultima villetta in fondo alla via e si calò con delicatezza felina dentro la casa. Questa è ancora gente che si fida, pensò. Gente che lascia le finestre socchiuse, i gioielli in casa la vigilia di Natale e va dai parenti e spesso le case rimangono incustodite. Si trovò su un corridoio lungo il quale si aprivano diverse porte e Vasilij trovò subito quello che cercava. Nella camera da letto principale, sopra un comò, un portagioie, rimasto aperto, sembrava che aspettasse solo lui. Si tolse il sacco dalle spalle e iniziò a riempirlo.

“Ma allora esisti! Lo sapevo, lo sapevo che stasera venivi” esclamò una vocina alle sue spalle.

Per un attimo il cuore di Vasilij ebbe lo stesso fremito di quel momento in cui era solito lasciare la barra del trapezio e attendeva nel vuoto la presa del compagno, un battito di ciglia che vale l’applauso o la delusione del pubblico. Ripreso il controllo della situazione, si girò e si trovò davanti un ometto in pigiama dallo sguardo meravigliato e felice. Con un vocione cavernoso, gli rispose:

“Certo che esisto, che domande! Io sono Babbo Natale! Tu piuttosto, non dovresti essere a letto a quest’ora?”

“Sì, ma mamma e papà sono alla festa dei grandi, Luana sta giocando al dottore con un amico e io mi annoio da morire. Meno male che sei arrivato presto, così mi dai il regalo e mi racconti una favola!”

Vasilij fece segno al bimbo di parlare sottovoce, con prudenza si avviò alla fine del corridoio, che dava sul soggiorno. Nella penombra, due sagome indistinte si davano da fare sul divano. Dal cigolio ritmico delle molle e dai rantolii in sincrono era chiaro che la baby sitter aveva di meglio da fare che raccontare la fiaba di Cenerentola. E poi, che razza di genitori erano, questi che lasciavano un bimbo da solo nella notte più magica dell’anno… Vasilij fu assalito da una botta di nostalgia così forte che per poco non si mise a piangere.

“Come ti chiami?” chiese al piccolo.

“Giorgio” rispose il ragazzino, tutto compìto. “Allora, la storia? E il regalo?”

Vasilij lo accompagnò nella sua cameretta, lo mise a letto e iniziò a raccontare di Nonno Gelo e di Babushka e poi le storie della sua infanzia e poi i tutti guai suoi, prima nel suo italiano un po’ sghembo e poi in quella lingua dai suoni cupi e leggermente malinconici che fece scivolare Giorgio in un sonno sereno e profondo. Raccontava e piangeva, Vasilij, piangeva e raccontava del suo Yuri, e se lo immaginava anche lui solo, da qualche parte, ad aspettare una carezza ed un regalo.

Giorgio dormiva come un sasso da più di mezz’ora. A Vasilij non restava che finire il “lavoro”. Ma non ne aveva più voglia. Giorgio si aspettava un regalo da Babbo Natale e guai a tradire la fiducia di un bambino. Tutto quello che gli poteva dare era la trottola di Yuri, al sicuro nella tasca interna dei pantaloni. La lasciò sul comodino, perché in cuor suo aveva un progetto nuovo da portare avanti. Fece a ritroso il percorso dell’andata, passò oltre la camera da letto dei genitori di Giorgio e si arrampicò con agilità fino alla finestra che aveva lasciato aperta. Ora si sentiva più leggero, e non solo perché il sacco era rimasto vuoto.

Al Natale ortodosso mancavano ancora dodici giorni. Forse sarebbero stati sufficienti per ritrovare Yuri e portargli una trottola nuova.

4 risposte a "Racconto di Natale"

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  1. oh dimenticavo si i babbi che si arrampicano sono veramente orrripilanti e ancora di più quando si sgonfiano e sembrano delle meduse rosse con la barba bianca

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