Ad un anno esatto dalla scomparsa di Andrea Camilleri, Sellerio ha pubblicato l’ultima indagine di Salvo Montalbano, Riccardino. Un romanzo già scritto nel 2005 e conservato negli archivi della casa editrice e uscito un mese fa. Un minuto dopo che era arrivato sugli scaffali della libreria sotto casa, l’avevo tra le mani. Anche se ormai preferisco la lettura in digitale, questo l’ho voluto leggere su carta. Chissà, forse perché, toccando l’oggetto libro, mi sembra di trattenere materialmente il ricordo dello scrittore siciliano. O forse solo perché è proprio un bell’oggetto, con la copertina rigida, le striscioline segnapagina blu e gialle e i risguardi di un bell’ocra acceso.

Autore, Personaggio, Attore
Dico la verità: dell’ennesima ammazzatina su cui verte l’indagine di Montalbano, non mi interessava granché. Anzi, proprio poco. Un po’ per sopraggiunto scassamento di cabasisi – tra repliche tv e carriolate di romanzi, ormai siamo ben sazi del personaggio – ma soprattutto perché la curiosità di sapere come Camilleri fa “morire” il suo personaggio è di gran lunga l’attrattiva più importante. E da quello che si riesce a intuire, durante la lettura, era anche l’interesse principale dell’autore. Non che la vicenda legata alla morte di Riccardino sia meno accurata o geniale di quelle che l’hanno preceduta. Anzi è un esercizio di stile ineccepibile, trame principali e secondarie che si intrecciano, critiche nemmeno tanto velate a esponenti della Chiesa, richiami alla mafia e tutto il corredo di riferimenti all’attualità più becera e triste. Ma si avverte, leggendo, che Camilleri ci vuole portare a una dimensione totalmente inedita di racconto, una specie di metanarrazione. In una sorta di gioco di specchi tra realtà, finzione letteraria e fiction televisiva, fanno capolino l’Autore, che disturba Montalbano per telefono, il Personaggio che, ormai arcistufo del suo lavoro, cerca di scaricare a terzi l’onere dell’indagine, senza peraltro riuscirci, e l’Attore della tv, in una continua citazione in bilico tra carta stampata e schermo televisivo. Su tutti e tre, il gran puparo Camilleri in carne e ossa che, con la solita insuperata maestria, tira tutte le fila di questo “gran tiatro” che lui stesso ha allestito e che si appresta a demolire.
Mentri che stava sconzanno, squillò il tilefono. Siccome la mangiata l’aveva bono disposto, annò ad arrispunniri. Era l’Autore che lo chiamava da Roma. Si pentì subito d’aviri isato il ricevitori.
<<Salvo, ce l’hai un po’ di tempo?>>
<<Un poco quanto?>>.
<<Massimo deci minuti>>.
<<Vabbeni. Dimmi>>.
<<Così non posso più andare avanti, dovresti cercare di darmi una mano d’aiuto>>.
<<In che senso?>>.
<<Come me l’hai sempre data. La storia di Riccardino, della quale ti stai occupando…>>.
<<Chi te ne ha parlato?>>. Lo interrompì Montalbano arrisintuto.
L’Autore tirò un sospiro funnuto.
<<Madonna, Salvo, siamo ancora a questo punto? Non l’hai capito o lo fai apposta?>>.
<<Voglio sapere chi ti ha informato>>.
<<Salvo, la facenna sta completamente arriversa. Sono io che informo te, e non capisco perché ti ostini a credere che sei tu ad informare me. Questa storia di Riccardino io la sto scrivendo mentre tu la stai vivendo, tutto qua>>.
<<Quindi io sarei il pupo e tu il puparo?>>.
Due versioni, una lingua, un solo universo letterario
Dal punto di vista della trama, le due stesure, quella del 2005 e quella definitiva del 2016, non presentano nessuna differenza (quindi, se non siete camilleriani sfegatati, è sufficiente leggere l’ultima redazione). Per chi ama il Camilleri inventore di linguaggio è interessante vedere il fine lavoro di cesello che ha operato sulle parole, sul ritmo, sulla potenza evocativa dei suoni. Dai primi romanzi tipo Un filo di fumo oppure Il birraio di Preston fino a Il cuoco dell’Alcyon il vigatese ha gradualmente occupato sempre più spazio nella pagina stampata, passando da “linguaggio d’uso privato” a lingua inventata che proprio nell’ultimo romanzo viene citata in quanto tale, quando uno dei protagonisti, per rafforzare la sua appartenenza al gruppo, passa improvvisamente dall’italiano al dialetto e questa cosa non sfugge a Montalbano, che su questa osservazione poi svilupperà parte dell’indagine. Lingua come protagonista, quindi, in bilico tra dialetto, lessico familiare e pura invenzione. In altre parole, genio linguistico.
Mi mancherà?
Mi mancherà Montalbano? Direi di no. Come già detto, tra carrettate di racconti e romanzi, repliche a raffica di fiction con Montalbano giovane e non, abbiamo raggiunto il livello di guardia. Anzi, era ora. Il finale è degno dell’inventiva di Camilleri, che sicuramente avrà avuto in mente Pirandello, (su questo mi gioco i cabasisi che non ho). Un’uscita di scena che appaga completamente e mette la parola fine – irrevocabile – al personaggio Montalbano.
Invece mi manca moltissimo l’Autore, la sua voce “arragatata” dalle sigarette, il suo sguardo lucido e saggio sulla realtà, il suo buon senso e la sua simpatia. Lo Scrittore, invece, è sempre con noi. Ogni volta che ci assale la nostalgia, basta allungare una mano sullo scaffale della libreria (fisica o digitale) e pescare a caso tra la sua produzione per farcelo sentire vicino. E questa è una gran bella consolazione.

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