Il Maestro e l’Imbapita*

*Imbapita = persona poco sveglia e di scarso comprendonio

Il 12 novembre 2007 Andrea Camilleri riceveva la laurea Honoris Causa in Filologia Moderna presso l’Università di Chieti. In un auditorium pieno a uovo, saturo di atmosfera solenne ma anche festosa, l’ingresso dello scrittore, impaludato nella toga di ordinanza (ma per fortuna senza il tocco, il ridicolo cappello quadrato che piace tanto agli americani) è salutato da un uragano di applausi. Un’occasione più unica che rara per sentire dal vivo la voce meravigliosa di Camilleri e magari salutarlo pirsonamente di pirsona. La sua Lectio Magistralis, Gramsci, Pirandello e un lapsus rivelatore ha incantato e affatato (come direbbe Montalbano) il pubblico presente composto da molti studenti ma anche da molti “fuori corso” (diciamo così) tra cui anche la sottoscritta. Al termine, applausi scroscianti, proclamazione e consegna della pergamena, tutto secondo il protocollo ufficiale.

“Venite con me”

Appena finita la parte protocollare, il Maestro è uscito a fumare una delle sue millemila sigarette, circondato da una folla da concerto rock. La sua cerberissima assistente personale cercava di tenere lontana la folla dei fan, berciando in continuazione “il Maestro è stanco, il Maestro non ha voglia di firmare autografi, il Maestro di qua, il Maestro di là…” mentre lui beato, se ne catafotteva, fumava e chiacchierava con chiunque. Ad un certo punto la Cerberissima viene risucchiata da qualche incombenza tecnica e lui, assieme ad un raggiante Rettore che nel frattempo si era materializzato praticamente dal nulla, si rivolge a noi fan e dice, con quella sua voce sexy e profonda: “Venite con me”. Di solito, in queste situazioni, sono veramente imbranata, imbapita, appunto. Rimango lì come una cretina senza essere in grado di cogliere l’attimo. Invece, miracolo, le gambe sono partite da sole dietro al Maestro , senza indugio alcuno. Durante il tragitto, pensavo sempre che qualcuno ci avrebbe fermato, ci avrebbe chiesto i documenti, impronte digitali, ricevute di pagamento, qualsiasi cosa e ci avrebbe rimandato indietro. Ehi! Quanti siete, dove andate, un fiorino! Invece, con mia grande sorpresa, non solo nessuno ci ha intralciato il cammino, ma siamo stati ricevuti nell’ufficio del Rettore dove, con tutta calma, il Maestro ha firmato una quantità di libri e si è intrattenuto ancora un po’ con i suoi fan. Al mio turno, lo saluto e gli chiedo se mi può autografare la mia copia di Maruzza Musumeci, regalo di compleanno per mia sorella. Lui alza lo sguardo, mi scruta, sorride, mi chiede con il suo vocione “Come si chiama sua sorella?” e firma. Ecco, quando ha detto questa frase veramente me-mo-ra-bi-le, mi sono squagliata. Camilleri che mi parla, e per pronunciare una frase che rimarrà negli annali! Con quella voce poteva anche mandare a catafottermi ma a me sarebbero sembrate dolci parole fatate. Morale della favola: mia sorella ha il libro con dedica personale, ma io ho negli occhi il sorriso e nelle orecchie la voce di Camilleri. Per sempre.

Una conoscenza di vecchia data

In realtà Camilleri, senza saperlo, lo abbiamo conosciuto più o meno tutti, almeno noi, quelli “della tv in bianco e nero”. Chi ha visto il Maigret di Gino Cervi o il tenente Sheridan, magari in una delle tante repliche, quando ancora la RAI trasmetteva gli sceneggiati e non le fiction, ha indirettamente avuto a che fare con il maestro di Porto Empedocle. I dialoghi dei personaggi, le ambientazioni, lo stile dello “sceneggiato” erano opera sua, ed è sempre per merito suo se abbiamo visto il teatro di Eduardo in tv. Forse eravamo già inconsciamente abituati alla sintassi camilleriana che quando abbiamo iniziato a leggerlo, lo abbiamo trovato “familiare” e ci è piaciuto subito, all’istante. Il mio personale debutto con Camilleri scrittore è stato con Il birraio di Preston. Mia sorella – sempre lei, quella della dedica – mi aveva detto che a Lampi d’estate si parlava di uno scrittore siciliano che ambientava alcuni suoi romanzi in un paese fittizio, Vigàta, nella seconda metà dell’Ottocento. Acquistato immediatamente il libro, da allora la lettura non si è più fermata. Montalbano è arrivato poco dopo, perché prima c’era da leggere capolavori come La concessione del telefono, Un filo di fumo, Il re di Girgenti, La rivoluzione della luna, Il casellante e via elencando. Ma perché la Sicilia dell’Ottocento ci piace così tanto? Per tanti motivi, innanzitutto perché Camilleri è un contastorie, come piaceva definirsi. La Sicilia è descritta così minuziosamente che sembra di viverla in prima persona, perché i personaggi escono dalla pagina e ti prendono per mano, perché le storie sono verosimili al confine col vero. E nonostante siano ambientate lontane nel tempo, riconosciamo in quelle storie tutti le magagne e le virtù di noi italiani. Senza entrare in elucubrazioni filosofiche, Camilleri ci piace perché nei suoi libri c’è, semplicemente, la vita a trecentosessanta gradi. Hitckcock diceva che il cinema è la vita senza le parti noiose: la scrittura di Camilleri è un lunghissimo giro di giostra senza sosta, un divertimento che termina solo con l’ultima pagina del libro senza nemmeno una riga di noia.

Testicoli e arachidi

E poi c’è la faccenda della lingua. Grazie soprattutto alla serie televisiva, quasi tutti sappiamo cosa sono i cabasisi, cos’è una ammazzatina, o cosa significhi tambasiare casa casa. Sono appunto i cabasisi a creare, per me di madrelingua veneta, un legame linguistico indissolubile con la produzione camilleriana, perché condividono con i veneti bagigi (regionalismo per arachidi) la stessa etimologia, e cioè habb ‘aziz (حَبّ عَزيز), vale a dire mandorla dolce. I marinai veneziani con i loro viaggi avranno sicuramente portato con loro la parola che è entrata poi nel dialetto. In realtà in siciliano i cabasisi sono un altro frutto, ma entrambi hanno in comune la stessa forma orchitica. Tutto ciò è meraviglioso. Anche se la lingua che usa Camilleri può costituire un serio ostacolo, ma allo stesso tempo una enorme risorsa, perché, come ha detto Pirandello «di una data cosa, il dialetto ne esprime il sentimento, della medesima cosa la lingua ne esprime il concetto». Con questa frase Camilleri ha trovato l’alibi perfetto per esprimere sentimenti e concetti in modalità assolutamente nuove per le nostre orecchie. E gettare un ponte linguistico tra Sicilia e Veneto.

Montalbano sono, anzi siamo

In una delle sue tante interviste, Camilleri afferma che i libri di Montalbano si scrivono da soli. Dice che, dopo le uscite malapropistiche di Catarella, le avventure galanti di Mimì, le sciarratine con Livia e gli scontri verbali con l’ottuso questore, è sufficiente infilare un fatto di cronaca e il libro è bello che fatto. Sarebbe come a dire che, se hai in casa farina, uova, zucchero, cioccolato e marmellata di albicocche, basta che metti tutti gli ingredienti insieme e hai la Sachertorte. È ovvio che non è così, ci vuole una buona dose di maestria per riuscire a scrivere una quantità di romanzi, mai banali, legati alla cronaca più scomoda, per esempio dove si affronta la realtà delle tratta delle prostitute dell’est (Le ali della sfinge), il traffico di minori (La pazienza del ragno), il racket delle corse clandestine (La pista di sabbia) o i fatti del G8 di Genova (Il giro di boa) in cui Camilleri mette in bocca a Montalbano una tirata magistrale sulla gestione, a dir poco superficiale, di tutta la faccenda:

«Scusa, Mimì. Hai letto i giornali? Hai sentito la televisione? Hanno detto, più o meno chiaramente, che nelle sale operative genovesi in quei giorni c’era gente che non ci doveva stare. Ministri, deputati, e tutti dello stesso partito. Quel partito che si è sempre appellato all’ordine e alla legalità. Ma bada bene Mimì: il loro ordine, la loro legalità.»

« E questo che significa? »

«Significa che una parte della polizia, la più fragile macari se si crede la più forte, si è sentita protetta, garantita. E si è scatenata. Questo nella migliore delle ipotesi».[…]

e l’appassionata replica di Mimì alla possibilità di dimissioni del commissario:

[…] «Se te ne vuoi andare, vattene. Ma non ora. Vattene per stanchizza, per raggiunti limiti d’età, perché ti fanno male le emorroidi, pirchì il ciriveddro non ti funziona, ma non ora come ora».

«E pirchì?»

«Pirchì ora sarebbe un’offisa»

«A chi?»

«A mia, per esempio. Che sono fimminaro sì, ma pirsona pirbene. A Catarella, che è un angilu. A Fazio, che è un galantomo. A tutti, dintra al commissariato di Vigàta. Al Questore Bonetti-Alderighi, che è camurriusu e formalista, ma è una brava pirsona. A tutti i tuoi colleghi che stimi e che ti sono amici. Alla stragrande maggioranza di gente che sta nella polizia e che niente ha a che fare con alcuni mascalzoni tanto di basso quanto di alto grado. Tu te ne vai sbattendoci la porta in faccia. Riflettici. Ti saluto.»

Chapeau. Non c’è altro da dire. Di esempi come questi ce ne sono a mazzetti, nei libri di Montalbano per cui definirli semplicemente gialli è abbastanza riduttivo. Certo, il lettore se li gusta per l’intreccio, per la suspense creata, per i momenti di ilarità catarelliana, ma c’è molto di più. Ci siamo noi come nazione, allo specchio, e spesso, l’immagine che rimanda non è delle più consolatorie ed edificanti.

Caro gattone, ogni tanto vai a trovare Andrea e fagli compagnia per me © foto di Lorenza Destro

“Io e la morte? Ci rispettiamo”

Nell’ultima intervista rilasciata a Radio Capital circa un mese prima di lasciarci, Camilleri afferma di non avere paura della morte, che la rispetta e che si sente pronto. Ancora una volta dà prova di grande saggezza e serenità che lenisce, ma di poco, il dolore per la sua scomparsa. Adesso che riposa a fianco di Gramsci nel cimitero acattolico di Roma, più noto come “cimitero degli inglesi” mi piace pensare che idealmente i due riprendano il filo del discorso iniziato con la lectio magistralis di Chieti e che discutano di teatro, di impegno civile, di politica, e perché no, di pasta ‘ncasciata e di arancini.

Ciao Andrea, un “comunista arraggiato” come te, compagnia migliore non poteva avere.

Che ne pensi?

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Blog su WordPress.com.

Su ↑

VERBA VOLANT

"Il comico è il tragico visto di spalle" (G. Genette)

appetibilis .net

TRAVEL NOTES on PEOPLE, PLACES, FOOD & STYLE

http://www.iocisonostata.com/

"Il comico è il tragico visto di spalle" (G. Genette)

MADamando

Il blog dedicato alle “over-anta”, in cui si raccontano, senza prendersi troppo sul serio idee, sogni, moda, riti e miti dell’età di mezzo.

OCKstyle.com

Orsola Ciriello Kogan :: Wordsmith & Visual Storyteller

Le parole e le cose²

Letteratura e realtà

ideas.ted.com

Explore ideas worth spreading

Bufale e Dintorni

Bufale e dintorni, ovvero notizie false, ingannevoli, phishing, scam, spam. Diffondere le bufale è inutile, irrazionale e in alcuni casi, pericoloso.

zeronovantanove

Scritture low cost

Opinioni di un clown

"Il comico è il tragico visto di spalle" (G. Genette)

Ghiga scrive di sera (e nemmeno sempre)

"Il comico è il tragico visto di spalle" (G. Genette)

La disoccupazione ingegna

Sono disoccupata, sto cercando di smettere. Ma non mi svendo

Scarpe de Merda

"Il comico è il tragico visto di spalle" (G. Genette)

SUCCESS

"Il comico è il tragico visto di spalle" (G. Genette)

ildegardadibingen

Just another WordPress.com site

Rosso di Persia

La mia indipendenza è la mia forza, implica la solitudine che è la mia debolezza. (Pasolini)

Nine hours of separation

"Il comico è il tragico visto di spalle" (G. Genette)

grafemi

segni, parole, significato

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: