Borsa lettori speciale Il pianto dell’alba di Maurizio De Giovanni (tranquilli, niente spoiler)

All good things come to an end

Tutte le cose belle finiscono, canta Nelly Furtado e anche una cosa bellissima come la saga del Commissario Luigi Alfredo Ricciardi, tormentato e fascinoso personaggio nato dalla fantasia di Maurizio De Giovanni, arriva a una conclusione, peraltro annunciata ma non per questo meno malinconica, almeno per noi Ricciardiani e Ricciardiane (che siamo di più).

Ma andiamo con ordine.

Degiovanner della primissima ora

Delle poche cose di cui meno vanto, una è quella di essere una Degiovanner della primissima ora. Sono venuta a conoscenza di questo scrittore nel 2010, quando il nome di Maurizio De Giovanni non albergava stabilmente nei primi posti delle classifiche di vendita dei libri ma al massimo si poteva leggere – per i fortunati che erano seguiti da lui – su una distinta di versamento della banca. Sì, perché Maurizio – mi permetto di chiamarlo per nome di battesimo come si fa con gli amici oppure per i geni assoluti tipo Michelangelo, Raffaello, Valentino (motociclista o stilista, fate voi) lavorava presso un istituto di credito della sua città, Napoli e aveva l’hobby della scrittura, cosa nota – credo – alla sua cerchia di amicizie visto che a sua insaputa era stato iscritto ad un concorso per giallisti, evento dal quale è iniziata tutta la sua avventura letteraria. A giudicare dalla quantità di ex-bancari che poi sono diventati scrittori, a cominciare da Italo Svevo, Herman Melville fino a Giuseppe Pontiggia, Tullio Avoledo e sicuramente altri, stare dietro una scrivania sommersi dai numeri scatena una creatività impensata. Siano benedetti gli amici che hanno avuto l’idea di iscrivere De Giovanni a questo concorso.

Grazie a un racconto sul terremoto dell’Irpinia pubblicato dalla NEO. edizioni, una piccola ma agguerrita casa editrice abruzzese, dal titolo Scusi, un ricordo del terremoto dell’ottanta?, e ai consigli di un bravissimo libraio (esistono ancora quelli che ti sanno consigliare e non solo porgere i libri) ho contratto la Ricciardite, bellissima malattia che si cura leggendo i romanzi del commissario cilentano. Il libraio di cui sopra mi aveva indicato Il senso del dolore – l’inverno del commissario Ricciardi e mai cura fu più azzeccata.

Bisogna dire ai produttori di e-reader di trovare il sistema per farsi autografare gli e-book

Un commissario “sensitivo”

Tutti i commissari dei romanzi polizieschi hanno un tratto caratteristico che li connota, quello di Ricciardi è di riuscire a sentire le ultime parole delle persone assassinate o comunque morte in maniera violenta. Ne vede i fantasmi sui luoghi del delitto e riesce a udirne le ultime frasi. Ma vede anche spettri in giro per la città, nei luoghi pubblici e anche nelle case private e tutto ciò è motivo di indicibile sofferenza per lui, che si considera sulla soglia della pazzia, destinato a una vita solitaria dedita solamente al lavoro di poliziotto, l’unico mestiere che possa svolgere, dice lui. Gli anni in compagnia del Commissario dagli occhi verdi sono stati un crescendo di emozioni e anche di bravura per il suo autore. Ad ogni uscita noi Ricciardiani trattenevamo il fiato: riuscirà De Giovanni ad eguagliarsi nella scrittura, nell’ideazione della trama, nel coinvolgimento emotivo delle sue vicende personali?

Ebbene, in tutto questo tempo non solo De Giovanni ha mantenuto lo standard (molto alto, peraltro) di una letteratura popolare sì, ma curata nella forma, nei dettagli ma soprattutto nell’evoluzione del progetto a lungo termine (in cui l’epilogo a cui siamo arrivati in questi giorni trova la sua naturale collocazione) ma ha cementato sempre di più l’attaccamento dei lettori ai suoi personaggi. Maione, Modo, Bambinella, Enrica, Livia, Bianca, Rosa, Nelide e tutti gli altri sono ormai diventati amici di famiglia che ognuno di noi ha immaginato durante le splendide ore di lettura passate in loro compagnia. Va da sé che quando è stata annunciata l’uscita di scena di Luigi Alfredo Ricciardi, i Degiovanner hanno avuto un moto di stizza ,sottoscritta compresa.

Vorremmo che questa saga durasse per sempre, egoisticamente pensiamo di “meritarci” una teoria infinita di casi da risolvere raccontati con quello stile che si avvicina più alla poesia che alla prosa, pensiamo di poter visitare Napoli tramite descrizioni amorevoli e puntuali, ci arroghiamo il diritto di decidere della sorte di un personaggio. Invece Maurizio ci dice che Il Pianto dell’alba sarà l’ultimo. Ospite a Ortona per la rassegna Giallo di Sera, l’autore spiega le sue (valide) ragioni e afferma: vorrei far uscire di scena Ricciardi da campione, quando ancora è sulla cresta dell’onda. Un’uscita in grande stile. Stile al quale, del resto, siamo abituati.

Un momento della rassegna Giallo di sera a Ortona e il volto di televisivo di Ricciardi

“Considerate ora un colpo di vento”

Avete presente quando a scuola la prof di italiano commentava il tuo tema dicendo che gli spunti erano validi, lo stile era corretto, il lessico adeguato MA poi ti dava quattro perché eri andato fuori tema. Oppure a un colloquio di lavoro, quando il selezionatore comincia a dirti che il tuo curriculum è bellissimo, interessantissimo, tutto -issimo e tu pensi che ma che bello PERÒ al momento non ti può assumere. O ancora quando presenti un progetto a qualche finanziatore e quello ti dice che è nuovissimo, innovativissimo eccetera TUTTAVIA non ci sono fondi. Insomma quando le cose all’inizio cominciano bene, tu ci credi proprio tanto ma poi arriva , il ma, il però, il per il momento no, insomma la fregatura. Ecco, senza entrare in dettagli che potrebbero spoilerare la lettura, l’ultima indagine di Ricciardi è un po’ così.

Il primo capitolo è un capolavoro di poesia in prosa e non mi stupirei se tra qualche anno venisse inserito in qualche antologia di letteratura. “Considerate ora un colpo di vento…” è l’incipit meraviglioso che introduce, con la metafora del vento che accarezza quello che incontra al suo passaggio, tutti i germogli narrativi di tutto quello che poi fiorirà nel corso del libro. Nei capitoli successivi, Maurizio semina furbescamente indizi che ai ricciardiani più attenti fanno già saltare il cuore in gola, e poi, con flash-back opportunamente inseriti veniamo a sapere che Ricciardi è felice, condizione a lui totalmente inedita. Ma si sa, la felicità è effimera e subito si innesca un’ombra nel meccanismo narrativo dell’ultima indagine. Che sarà privatissima e delicatissima e anche pericolosissima.

Indagine privata

In quest’ultima – ma siamo proprio proprio sicuri? – indagine, Ricciardi sarà maggiormente coinvolto sul piano personale, dato che dovrà indagare su fatti che riguardano una persona a lui cara. A complicare le cose, lo dovrà fare sottotraccia, non in via ufficiale, per cui dovrà affidarsi alla rete infinita di contatti e conoscenze che lui, Maione e il dottor Modo hanno intrecciato in questi anni. Tutti i personaggi che abbiamo incontrato sono riuniti in questa storia, quasi che De Giovanni ce li facesse passare davanti agli occhi, come in una ideale passerella, per farceli salutare. Lo svolgimento delle indagine va di pari passo con le vicende private del commissario – ma che voglia avrei di anticipare le cose ma ho promesso di non farlo – in un intreccio di eventi in cui il Destino, con un colpo di mano, spariglia ancora una volta le carte in tavola. Eccome se le spariglia.

“Come hai potuto?”

Dopo aver letto l’ultimo capitolo – che ho dovuto riprendere ben due volte per essere sicura di aver capito bene – ho pensato che un finale più giusto (e più straziante) non poteva esserci. L’evoluzione del personaggio non poteva prevedere altro epilogo e noi lettori dobbiamo farcene una ragione.

Ricciardi mi mancherà tantissimo, mi mancheranno il suoi occhi verdi, i suoi fantasmi, le sue acute osservazioni, la sua eleganza, la sua compassione per i più deboli, ma è giusto così. È un’uscita di scena in perfetto stile ricciardiano e se per molti lettori la domanda più logica sarebbe Come hai potuto (far finire così il libro)? per quanto mi riguarda, va bene. Chiudere il libro con un buco nel cuore, gli occhi umidi di commozione e la mente ammirata per tanta bravura dà un senso di completezza a una storia che ha avuto il suo svolgimento e ora, come tutte le cose belle, arriva alla fine.

E allora resta solo che ringraziare Maurizio per questi anni ricciardiani, per le emozioni che ci ha regalato, per gli scorci bellissimi di Napoli, per averci raccontato le tradizioni della città, per l’entusiasmo e la simpatia che regala quando gira l’Italia per presentare i suoi libri, sempre disponibile, sorridente, allegro e irresistibile nei suoi aneddoti. Grazie Maurizio!

(Però, se Ricciardi dovesse ritornare, a me non dispiacerebbe. Anzi).

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