Cofanetto o pacco? (parte prima)

A maggio, per il compleanno, il prode G. ha ricevuto uno di quei cofanetti smart-emotion-gift-wonder-box  tanto di voga in questi tempi in cui la gente non ha né tempo né tantomeno voglia di sbattersi per trovare un’idea decente per un regalo. Per chi non lo sapesse, questi cofanetti altro non sono altro che dei buoni prepagati per usufruire di varie “esperienze” che possono spaziare dalla giornata alle terme alla cena tipica, dal volo col parapendio al soggiorno in un castello medievale. Al prode G. è toccata la “Cena Romantica”, e di rimbalzo tocca anche a me, la persona meno romantica sulla faccia dell’orbe terracqueo. Sul coperchio del cofanetto una coppia (etero, per la precisione) è seduta a tavola su una specie di molo barra imbarcadero barra passerella barra pontile prospiciente una specie di fiordo norvegese, mentre sul tavolo troneggiano una serie di orpelli molto poco allettanti, a meno che degustare tulipani sia le dernier cri in fatto di mode gastronomiche. Un lontanissimo presagio di sòla mi stuzzica dietro l’orecchio ma vabbè, a caval donato eccetera eccetera.Dentro il cofanetto c’è un opuscolo pesante come un asino morto, tutto in carta patinata e con fogli spessi un dito che elenca, regione per regione, le strutture aderenti al circuito smart-emotion-blablabla. Mi fiondo subito alla pagina dell’Abruzzo e con somma delusione scopro che, al contrario delle altre regioni, che offrono almeno una decina di alternative, qui si può scegliere tra ben tre ristoranti, di cui uno aperto solo d’estate, l’altro con due poco lusinghiere palle su TripAdvisor e il rimanente vicino a casa. La scelta cade forzatamente, su quest’ultimo: si tratta di un locale molto gettonato dagli americani della P&G, il che la dice lunga sulla qualità della proposta gastronomica, ma l’alternativa era andarsi a “catafottere” – come direbbe Salvo Montalbano – o nelle Marche o nel Lazio e quindi prendere o … prendersela (in quel posto). Ma vabbè, a caval donato eccetera eccetera (e due).La serata prescelta coincide con una finale di coppa di qualcosa ma a noi, non essendo contagiati da febbre tifoide per il calcio, poco ce ne frega. Infatti tutto il resto dell’umanità è incollato al video – compresa, ma lo scopriremo solo vivendo, anche la brigata da cucina del ristorante. L’insegna luminosa del locale – con qualche lettera spenta, cosa che mi mette un po’ di tristezza (R I S – O R – N – E  sembra una partita a Scarabeo) è composta da un font che mi ricorda vagamente la copertina di Yellow Submarine, un effetto tipo questo:che, obiettivamente, ha un look un po’ datato. La tristezza aumenta, impercettibilmente ma aumenta. A metterci il carico a coppe, il nome del locale contiene in sé un che di antico. Personalmente diffido dei locali che nel nome hanno parole come “vecchio”, “antico” “nonno/a”, perché il più delle volte, l’antichità è solo millantata, come se la vetustà fosse automaticamente garanzia di qualità (il più delle volte non lo è). Ma è una pippa mentale mia e lasciamo perdere. Tuttavia, nel corso della serata scopriremo – ahinoi – che non è solo il lettering e la denominazione ad accusare l’età.Ma andiamo con ordine. Entriamo in una specie di piccolo atrio buio dal quale, sulla destra, si intravedono i servizi igienici, splendenti nel loro bianco nitore ceramico. Cominciamo bene. Dopo pochi passi raggiungiamo l’ingresso vero e proprio del ristorante, alle cui pareti sono appese numerose foto autografate di “gente dello spettacolo” di piccolo-medio cabotaggio, personaggi che avevano raggiunto una certa notorietà negli anni ’70 e ’80 e che adesso mi guardano con uno sguardo congelato tra l’atterrito e il sorpreso. Mario e Pippo Santonastaso, Ric & Gian, Mario Tessuto, Jimmy Fontana, Rita Pavone, insomma ci siamo capiti. Il barometro della tristezza vira decisamente verso la bassa pressione. Ci accoglie un cameriere – della stessa età apparente dei VIP fotografati – vestito di tutto punto che, nel più classico stile indigeno si avvicina senza proferire verbo ci si para davanti. Dichiariamo subito che siamo venuti per sfruttare un cofanetto smart-emotion-blablabla al che la mummia, con voce incolore, esala: «Allora vi chiamo il Direttore».Cazzarola. Qui la faccenda si fa seria. Non so come valutare questa scesa in campo del manager del ristorante, se intenderla un segno di particolare attenzione nei confronti dei clienti smart-emotion-blablabla oppure esattamente il contrario, cioè un trattamento riservato alla categoria “poracci-che-si-fanno-offrire-la-cena-dagli-amici”. Nel mentre che soppeso le due alternative, procede verso di noi un signore dall’aria sussiegosa e altera che non fa il paio con la stazza da sollevatore di pesi kazako ma soprattutto con il vestito, un doppiopetto dal taglio “vintage” e con la stoffa lucida e consunta in più punti. Ci scorta nella sala principale, arredata con table habillée degne del Re Sole e con le pareti completamente coperte da piatti del buon ricordo. Il mio tristezzometro, cioè lo strumento che misura la percentuale di malinconia in un essere umano è ai minimi storici. Ma vabbè, a caval donato eccetera eccetera (e tre). Con un gesto plateale il direttore pesista kazako ci indica un tavolo nella sala completamente vuota, ad eccezione per un’altra coppia. La serata più gastronomicamente assurda degli ultimi vent’anni è solo all’inizio.

Una risposta a "Cofanetto o pacco? (parte prima)"

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  1. attendo con ansia la seconda puntata!bacicarla  dott.ssa Carla Toffolo Interprete di conferenza – Traduttrice Via N. dal Cortivo 67 30173 Favaro Veneto (VE) tel. +39 041 90 09 39 cell. + 39 335 24 44 72 Skype: carlaomar

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