Vanity Fair: romanzo senza eroe e rivista senza lettrice

Da qualche settimana – non so perché – mi arriva per posta elettronica un messaggio dalla rivista Vanity Fair, in cui mi si dice che c’è la possibilità di ritirare una copia gratuita della rivista semplicemente mostrando, dallo schermo del cellulare o del tablet, il codice riportato:

VFa prima vista, niente di complicato. A seconda vista, invece, è stata una fatica davanti alla quale anche Ercole si sarebbe demoralizzato. A dirla tutta fuori dai denti, Vanity è un giornale che mi fa abbastanza cagare, l’ho comperato diverse volte solo ed esclusivamente quando ci collaborava il mio amico di penna e a parte le sue curatissime traduzioni di articoli di attualità, la rubrica del Direttore e pochissimo altro, non ci ho mai trovato niente che mi sia appena congeniale. Ma visto che il servizio marketing di Condé Nast è così premuroso da inviarmi un gentile omaggio, a caval donato non si guarda in bocca e per una volta ho voluto provare questa nuova forma di promozione, così, per pura curiosità. Col senno di poi, sarebbe stato meglio se me la fossi tenuta, la curiosità. Ecco com’è andata.

Edicola n.1 zona Policlinico – Alla parola “coupon” l’edicolante storce il naso – da queste parti nessuno ti da niente se non a fronte di “schei” sonanti alla mano e la parola “gratis” suona ostica se sei tu che devi dare qualcosa – e al termine “elettronico” gli si storce anche la bocca in una smorfia di disgusto e a seguire tutto lo storcibile mentre mi risponde “gavemo finìo el giornae, ea prova all’edicoea pì vanti” [traduzione per gli osco-umbro-sanniti: sono rimasto sprovvisto di copie della sua rivista, la invito a cercarla presso mio collega limitrofo] il cui sottotesto è chiaro: non rompermi i coglioni con queste stronzate. Il tempo di attraversare la strada e con la coda dell’occhio vedo che sta chiudendo baracca e burattini, forse per paura che qualcun altro gli facesse la stessa richiesta. Alle sei del pomeriggio.

Edicola n.2 zona termale – Prima di chiedere, controllo che ci sia la copia del giornale. C’è. Bene? No. Il titolare del punto vendita, un tizio simpatico come una scarica di diarrea nel deserto dopo che hai finito la carta igienica e con la voce alla Farinelli mi informa che non mi può dare il giornale “parché el distributore no me ga da ea carta dove scrivare el numareto” [trad.: il distributore si è dimenticato di fornirmi il modulo su cui annotare il codice]. Dal momento che non so bene come funziona la cosa da parte dell’edicolante, prendo atto della mancanza della “carta”, che mi immagino un documento particolamente pregiato e inimitabile, e me ne vado alla terza edicola, poco lontana.

Edicola n.3 zona Kursaal – Anche questo edicolante è gentile e disponibile come un ufficiale delle SS in botta da cocaina (tra l’altro, anche l’espressione del viso è vagamente nazista). Alla mia richiesta risponde “ea vegna doman matina che ghe xe ea fèmena, mi no go el conpiuter” [trad.: la esorto a ritornare presso questa edicola domani mattina, quando c’è la mia signora, io non posseggo il calcolatore elettronico]. A parte che non ho capito a cosa serve il “coNpIuter” – visto che bisogna usare strumenti analogicissimi come carta e penna (ma questa considerazione me la tengo per me) – né tantomeno la relazione fémena-coNpIuter”, faccio notare che la promozione sarebbe scaduta la sera. Risposta: “mi no go el conpiuter” che significa: no stà romparme i balustri co’ ‘ste monade.

Ormai la cosa sta assumendo sfumature paradossali e decido di continuare la ricerca, del giornale ormai non me ne frega niente ma vado avanti per una questione di principio e per vedere le molteplici maniere in cui il genio italico interpreta un’iniziativa così – apparentemente – semplice.

Edicola n.4 zona Municipio – qui il titolare, con molta gentilezza e chiarezza, in un italiano appena sporcato di dialetto comprensibile, mi spiega che la procedura è molto semplice: il cliente che mostra la mail con il codice può ritirare una copia di VF e lui è tenuto a registare su un foglio di carta – una banale fotocopia – il codice e la data in cui è stato utilizzato. Stop. Capacità necessarie: saper leggere e scrivere. A mano. No tastiera, no “conpiuter”, no internet. Purtroppo però la rivista è finita e lui mi dice di passare la settimana prossima e volentieri mi accontenterà. Con un sorriso e un buonasera.

Per finire il giro delle edicole, vado all’edicola n.5 quella sotto casa, zona San Lorenzo, dove il gestore mi dice, in perfetto vernacolo (ma non veneto): “Nenti sacciu. Il signor C. ci dissi di non accittari quisti prumuzziuni, nenti vulimo sapiri.” Della serie: non scassarmi i cabasisi con queste sullenni minchiate. (Leggere Camilleri mi dà un certo vantaggio, nella trascrizione).

Fine delle edicole e fine anche della mia pazienza.

Adesso mi viene da fare due considerazioni. La prima, riguarda il grado di alfabetizzazione (ma non quella informatica, bensì quella di base, cioè saper leggere, scrivere, avere a che fare col pubblico) della categoria edicolanti padano-veneti. A parte il signore gentile n.4, il resto sembra uscito dalle caverne o poco più. E stiamo parlano di gente che lavora in un centro termale di fama internazionale, frequentato da italiani e stranieri. Se tanto mi dà tanto, anche il resto del settore terziario non è da meno. Benvenuti nell’accogliente nord-est.

L’altra considerazione è per il reparto marketing di Vanity Fair. Probabilmente il loro standard di riferimento è l’edicolante milanese (possibilmente imbruttito) che è super tecnologico, che ha l’edicola informatizzata, col wi-fi e tutto, che ha come clienti di VF le super top manager d’assalto che hanno interiorizzato il mantra “lavoro-guadagno-spendo-pretendo”, quelle che per risparmiare fiato ordinano al bar “una nat, una gas” perché il tempo è denaro. Ecco, vorrei dire a questi del marketing che il resto d’Italia non è à la page come lì da voi, e che anzi, di strada ce n’è ancora molta da fare prima che un’iniziativa come questa non susciti reazioni trogloditiche come quelle che ho sperimentato di recente.  E che poi, alla fine, questa “prumuzziuni” ha avuto esattamente l’effetto opposto, cioè che se anche avevo una remotissima intenzione di comperare VF, adesso non ci penso manco morta, men che meno se me la regalano, vista la fatica che ho fatto per niente.

La mia esperienza con Vanity Fair finisce QUI. Anzi, quasi quasi mi rileggo il romanzo, che è sicuramente meglio della rivista.

4 risposte a "Vanity Fair: romanzo senza eroe e rivista senza lettrice"

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  1. … eppure siamo un popolo di santi, poeti e navigatori … ma non del web, of course!
    E comunque sarebbe stata interessante la ricerca sul campo anche qui al centroitalia!
    Magari gli si dava dei punti a quei “teroni” del nordest!
    E tu sai che sono oriunda.
    grazie Lonza linguatagliente

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  2. Great commentary on life these days. I’m happy that Vanity Fair’s marketing “expertise” ends with the agent in Milano. All is not vanity…. yet.

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