Devo confessarlo, ho sempre avuto un debole per i Paesi scandinavi in generale e per la Svezia in particolare. Io che pur adoro il Mediterraneo, la calda espansività latina e i colori e i sapori decisi delle cucine che affacciano sul Mare Nostrum, sono incantata dal basso profilo e dalla sobria eleganza delle terre nordiche (un po’ meno dalla loro dieta, ad onor del vero, fatta eccezione per lo stoccafisso, che lega con un lungo filo saporito la Serenissima e le gelide isole Lofoten). Senza dubbio anche la bicicletta gioca un ruolo fondamentale, in questa mia fascinazione, visto che da quelle parti la bici è un mezzo di trasporto diffusissimo utilizzato a prescindere dalle condizioni meteo, sempre e comunque. Per non parlare del loro sistema sociale, del loro rispetto per la cosa pubblica e compagnia cantando. E quindi, enorme è stata la mia gioia quando sono stata ospite di carissimi amici, italiani in trasferta a Stoccolma da qualche anno. Un sogno che è diventato realtà, grazie anche alla perfetta organizzazione a cura della mia travel manager personale con cui ho avuto anche l’onore e il piacere di viaggiare.
Però, però, però. Anche se un fine settimana lungo non è un soggiorno sufficiente per approfondire la conoscenza di un luogo, a meno di non avere le fette di salame sugli occhi (o il naso sempre dentro il cellulare), è un periodo bastevole per farsi almeno un’idea di come vanno le cose. E in questi pochi giorni mi sono accorta che a Stoccolma mancano un sacco di cose che invece noi italiani abbiamo, e in abbondanza. Sotto molti profili, la città è carente. Molto carente. Estremamente carente.
IL TRAFFICO. Tanto per cominciare, manca il traffico. A Stoccolma le auto ci sono, ne ho viste di parcheggiate e addirittura in movimento, ma è come se non ci fossero. Il traffico è scorrevole, i veicoli circolano, non si fermano col motore acceso in terza fila (anche perché non c’è né la prima, né la seconda), gli automobilisti non sgasano ai semafori né pompano lo stereo con il ritmo “unz unz unz” o col Gigi D’Alessio scandinavo, non scaricano il posacenere in corsa né sgommano senza motivo. Di conseguenza, manca anche quel bell’odore di gas di scarico che attanaglia la gola e ti stritola fino a farti diventare cianotico. Alle zebre gli automobilisti si fermano quasi dieci metri prima e più di una volta ho pensato che l’auto avesse un guasto o si fosse fermata per mancanza di benzina. Manca del tutto, al pedone, il sottile brivido del pericolo di essere tirato sotto appena poggia il piede sulle strisce e mancano del tutto le maledizioni e i vaffa dei conducenti appena egli si azzarda ad attraversare la strada. Vivere da pedone tutelato è una sensazione strana, quasi come una specie di vertigine. Se non ci si è abituati potrebbe anche fare male.
LA SCOVAZZA detta anche IMMONDIZIA. Come fa una città ad essere priva di immondizia per terra. Non è normale. Da noi, festoni di cartacce, bicchieri di carta, contenitori vuoti, briciole di polistirolo, cicche di sigaretta, calzini spaiati, cocci di bottiglie e via discorrendo adornano come installazioni di pop-art i marciapiedi, gli angoli degli edifici e i bordi delle piazze. Qui invece niente. Tutto pulito. Una noia mortale. Per la troppa pulizia, ad un certo punto per strada mi stavo quasi sentendo male. Per fortuna ho visto una cartaccia, mi sono rinfrancata e vista l’eccezionalità dell’evento, l’ho anche fotografata.
IL RUMORE. Nei locali pubblici, sui bus, la gente non si chiama ad alta voce da una parte all’altra. Non grida, non fa casino. Quando parlano, le persone lo fanno ad un tono di voce che non da fastidio al vicino. A tavola, un brusio regolare e uniforme accompagna le portate, intervallato da acciottolìo di posate e stoviglie. La mancanza delle tavolate chiassose in cui non senti quello che ti dice chi ti siede a fianco mi ha provocato un temporaneo aumento della capacità uditiva.
IL CONTANTE. Il denaro liquido non esiste. A parte ai mercatini di Natale (e nemmeno in tutte le bancarelle), il contante è praticamente sparito. E quel poco che gira, è considerato alla stregua di un oggetto infettato dal virus ebola. I cassieri dei supermercati usano i guanti per maneggiare la carta moneta residua che circola e uno addirittura si è rifiutato di cambiarmi un biglietto da 500 corone. La carta di credito è ben accetta ovunque, anche per spese minime. Dove sono finiti quei bei rotoli di banconote consumate, grigie di unto, con la carica batterica di una fogna di Calcutta in piena estate?
IL PORCHETTARO MONOGLOTTA. Ai chioschi di cibo i venditori parlano tutti, oltre la loro lingua, l’inglese – parlato in modo articolato, non tre parole in croce. Addirittura il venditore di salsicce di renna (il quale, mutatis mutandis, è il corrispondente del porchettaro nostrano) non solo parla un inglese impeccabile, ma sa anche un po’ di italiano, visto che era in grado di tradurre correttamente “venison” (carne di cervo) “reindeer” (renna) e anche “elk” (alce). Anche qui, grande nostalgia per i nostri ambulanti, che parlano solo il dialetto del loro paese di trecento persone e se non capisci, sono fatti tuoi. La città dimostra scarsa attenzione verso la specificità interculturale.
oppure ad informazioni di servizio a sfondo etico-comportamentale:
Per strada non ci si distrae, si cammina e basta. Ma così passeggiare diventa noioso da morire. Meglio da noi che combattiamo l’analfabetismo di ritorno con copiose e spesso originali scritte sui muri.
Mi fermo qui. Però sapete che vi dico, anche con tutte queste carenze, che sono gravi, un paio di annetti in Svezia me li farei. Giusto per riposare un po’ la testa da tutto ciò che appesantisce la nostra vita quotidiana e scoprire che ci si può anche annoiare, a vivere in un posto come questo. Per un po’ ci vivrei, anche se d’inverno fa buio alle due del pomeriggio e fa un freddo cane, anzi pinguino. Tanto poi posso sempre venire in vacanza in Italia.
Grande L’onza, come sempre, cogli nel segno…. e io che mi limitavo a sentire la mancanza del bidet!
🙂
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Beh, anche a me piacerebbe viverci per un po’ e magari scoprire che c’è del marcio anche in Svezia, oltre che ovviamente in Danimarca. D’altra parte, bisogna dire che loro, gli svedesi, sono meno di noi e, come dice un vecchio detto sardo, “pagu gente bona festa”.
Buon 2016.
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Lonza, a te che piacciono i gialli consiglio il Maigret nordico H. Mankell, purtroppo appena scomparso, e il suo commissario Wallander, altro che gialli mutanda-violenta-e-un-po’-perversa alla Stieg Larsen, ti faranno anche cambiare idea sulla perfezione della Svezia! Anche io ho visitato la Scandinavia da ragazza (ossia molti lustri fa) e sono rimasta basita proprio come te….
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letto a Natale, nell’intervallo tra il pranzo con la suocera e la cena con i cognati.
grazie per avemi fatto ridere, ci voleva proprio AMICA!
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Contenta e orgogliosa di aver allietato questa giornata!
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Lorenza sei grande, sei riuscita anche questa volta a farmi sorridere, e per me non è facile, grazie, Loretta
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Grazie a te per la lettura!
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