13 ottobre – Jackson nel New Hampshire è una località turistica di montagna molto tranquilla, si potrebbe paragonare ad Asiago o a Ovindoli, giusto per dare un’idea del tipo di vacanzieri che vengono qui, famiglie e gente tranquilla. L’atmosfera che si respira è quella dei romanzi di John Irving, tra orsi – che però non vanno col triciclo – scoiattolini e boschi a non finire. Immagino che d’inverno sia più animata, ma anche in questo lungo week-end del Columbus Day, nonostante la serrata governativa, c’è parecchio movimento. Lo shutdown, almeno qui, non si avverte perché i parchi sono gestiti direttamente dallo stato del New Hampshire e non sono federali. Meno male.
La mattina andiamo a fare colazione in un diner a gestione familiare per boscaioli e/o sciatori, dipende dalla stagione, con porzioni gigantesche di qualsiasi cosa. I Belgian waffles che escono dalla cucina sono così alti che mi si sloga la mascella per addentarli e G. si tiene “leggero” con una colazione tradizionale del posto, l'”Half Countryman’s Special“, consistente in due-tre uova strapazzate, French toasts (vale a dire due fette di pan carrè ammorbidite in latte e uova sbattute e poi fritte in padella), prosciutto cotto alla piastra e patate al forno, sciroppo d’acero e caffè cicorione. E per fortuna che era la mezza porzione. Fare colazione a fianco di un tizio alto due metri con il barbone e la camicia da taglialegna che gentilissimo, nonostante l’aspetto truce, mi illustra le varianti locali del menu e poi uscire e andare a rovistare tra il ciarpame di una yard sale non ha prezzo, per tutto il resto…

La giornata sotto il profilo meteo è un po’ imballata, potrebbe piovere come no, per cui decidiamo di non allontanarci troppo dal paesello, che offre, come attrattiva paesaggistica, oltre al ponte coperto (no, non è quello di Madison County)

le Jackson Falls, una serie di salti e di cascate di indubbia bellezza, incorniciate dalla vegetazione colorata. Tra i turisti – pochi – che si aggirano tra le pietre levigate dall’acqua, c’è un quintetto composto da una tizia in tailleur nero, un ragazzo in jeans e camicia bianca, una ragazza con un vestito color avorio in pizzo (ma con gli stivali di pelo di pecora ai piedi) e una coppia vestita come se dovesse sgomberare la cantina. Poiché un bel pacchetto di c****i degli altri ci sta sempre bene, seguo con interesse i movimenti del gruppo. Perché mi rendo conto che si tratta di una cerimonia nuziale. La tipa in tailleur, che credo sia una specie di giudice di pace o comunque un’autorità, con qualche difficoltà causata dalle scarpe con la suola in cuoio, conquista un bel sasso piatto e ampio dove fa collocare gli sposi, alle sue spalle gli altri due, che a questo punto immagino siano i testimoni. La tizia apre una cartellina e inizia a leggere, mentre i due si tengono per mano e ascoltano attenti. Non sento le parole, ma dallo sguardo intenso e concentrato dei due capisco che sono emozionati. Mi fa piacere essere lì, come testimone supplementare (non richiesto), a vivere, con discrezione, il loro attimo di gioia. Perché dai loro visi irradia quell’espressione imbambolata di felicità incondizionata. Ci sono solo i diretti interessati, la cascata, i testimoni e due turisti italiani capitati lì per caso che fanno foto. Niente sovrastrutture inutili, niente paranoie per gli abiti, niente stress per il menu del ristorante o per il paggetto che deve reggere lo strascico del vestito della sposa. Devo dire che il topo morto che ha preso il posto del mio cuore ha avuto un piccolo risveglio, di fronte a questa francescana semplicità. Ad un certo punto, i testimoni consegnano a lui un’ampolla di vetro a forma di cuore dentro la quale ognuno degli sposi versa della sabbia di colore diverso. Ancora letture, altre foto, baci e abbracci. Sempre perché l’orticello dei c****i miei va coltivato a dovere, a cerimonia terminata, raggiungo la piccola comitiva e dopo aver fatto gli auguri agli sposi, Julie e Joe, chiedo di spiegare il significato del gesto. Si tratta di sand vows, le promesse di matrimonio personalizzate con la sabbia di due colori, che prima erano distinte e che adesso, dentro l’ampolla, diventano una cosa sola, proprio come loro, uniti nella buona e nella cattiva sorte. La giudice di pace si affretta a precisare che ogni dettaglio è visibile nel suo sito casomai G. e la sottoscritta volessimo farci un pensiero. La pubblicità è l’anima del commercio! Avrei ancora un milione di domande da fare ma ritengo che l’orticello dei c**** miei di cui sopra sia stato coltivato a sufficienza.

A parte che, sotto il profilo sposalizio, ormai abbiamo già dato, (once is enough) ma ve l’immaginate l’espressione dei parenti all’idea di assistere alla cerimonia nuziale sulla riva di un torrente e invece delle fedi, scambiarci un Quattro Stagioni della Bormioli pieno di sabbia presa dai litorali veneti e molisani?
[fine terza parte]
Simpaticissima descrizione di una zona a me sconosciuta dell’America, con i suoi usi e consumi.
Mi sarebbe piaciuto essere lì.
Nicola
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Ottima descrizione, ugualmente divertente il commento della tua amica Alessandra55
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…. a parte che Kim, il giudice di pace, è Steward di nome e di fatto, dato che è “assistente di volo” (dei nubendi) e “addetto alla sicurezza in manifestazioni sportive” (si veda la foto della sposa nella pala del trattore), ma con tutta l’ammmerica a disposizione, che ci sei andata a fare nel bucolico New Hampshire? Se vai sul crinale verso Vestea o al Voltigno oppure sulle nostre dolci colline di Valdobbiadene con il molinetto della croda, non provi lo stesso brivido di bellezza? Ah già, al G. chi gliela dà la sua mezza porzione di ”Countryman’s Special“? baci, come al solito “me so’ fatta ‘na bella risata”! grazie
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anche un viaggio di mille miglia inizia con un piccolo passo… da qualche parte bisogna pure iniziare! E comunque non c’è stato solo il bucolico New Hampshire, c’è dell’altro, stay tuned e vedrai. Grazie per la lettura!
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